Cosa fare quando i pensieri diventano ossessivi?

Gianna* (29 anni) vive da molti anni con il timore di venir contaminata da sostanze pericolose o disgustose e pertanto controlla minuziosamente ogni cosa con cui entra a contatto. Da qualche tempo inoltre, le vengono alla mente delle immagini oscene e addirittura blasfeme che si sforza di scacciare ma ritornano in modo ossessivo. Si sente sporca e in colpa, quindi ha aggiunto ai suoi già lunghi rituali di pulizia anche quelli di purificazione. Si vergogna e si sente sola, nessuno può capire l’angoscia che prova.
Di cosa si tratta? Quante persone vivono così?

Flora* (40 anni) vive con l’ansia di aver lasciato il gas acceso mettendo in pericolo la vita dei condomini. Deve controllare più e più volte, il dubbio la devasta. Inoltre è convita che certi numeri le portino sfortuna e quando li intravede (nelle targhe o insegne, orari dell’autobus, ecc.) è costretta non solo deviare il percorso ma anche recitare delle formule per neutralizzarne il potere negativo. In tutto ciò arriva spesso in ritardo al lavoro, sicché teme di perderlo.
Si può curare? Cosa succede nella mente?

 Per Gabriele* (51 anni) la vista di coltelli è fonte di grande ansia da quando si immagina di usarli contro i suoi familiari. Ritiene di avere un lato oscuro, che potrebbe affiorare contro la sua volontà. Inoltre, teme di causare incidenti guidando l’auto pertanto chiede continue rassicurazioni alla partner e la supplica di tornare indietro a controllare per tranquillizzarlo. Lei non sa come comportarsi.
Faccio bene o male ad assecondare le sue richieste? Come mi devo comportare?

Filippo* (54 anni) ha iniziato fin dall’adolescenza a sviluppare piccole ossessioni e compulsioni. E’ cresciuto in una famiglia tradizionale ma piena di tabù ed educato in maniera rigida con uno spiccato senso di onestà, altruismo, orgoglio e senso di responsabilità. Ha maturato pian piano la convinzione che uscire dagli schemi impartiti dai genitori si potesse concretizzare in ipotetici eventi nefasti. Le prime manifestazioni di rituali ossessivi risultavano gestibili poiché lievi e discontinui, tuttavia col tempo la frequenza tendeva ad aumentare così come la varietà delle tipologie di rituali che sviluppava in maniera del tutto fantasiosa.
Come si esce da questa realtà parallela?

Provo rispondere a queste domande senza la pretesa di essere esauriente, con lo scopo di sensibilizzare su un tema che è molto diffuso ma poco conosciuto. Partiamo dalla prima domanda:

Di cosa si tratta? Quante persone vivono così?
Il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) è caratterizzato dalla presenza di ossessioni: pensieri, immagini o impulsi considerati inaccettabili per la persona che li vive e quindi fonte di grande disagio. Nella maggior parte dei casi le ossessioni sono accompagnate dalle compulsioni: azioni ripetitive come lavarsi le mani, riordinare, contare, pregare, ripetere formule, ecc. che hanno lo scopo di alleviare l’ansia. Tutti noi possiamo avere normali superstizioni e/o rimuginazioni, ma diventano un disturbo quando l’intensità e la frequenza interferisce pesantemente con la quotidianità e gli obiettivi della persona.
Le ricerche hanno dimostrato che il DOC è più diffuso di quanto si pensi e solo in Italia si ritiene ne soffra circa un milione di persone[1]. Non tutti chiedono un aiuto specialistico, ad esempio Filippo ammette: “Sapevo di aver bisogno di aiuto ma ero restìo a rivolgermi ad un professionista per orgoglio, mancanza di fondi e a causa della convinzione che vi fosse un paradigma psicologo=persona debole, in contrasto con l’immagine di figura forte che mi ero costruito.”

Si può curare?  Cosa succede nella mente?
Nei casi più gravi il trattamento consiste in una combinazione di cure psicoterapiche e farmacologiche uniti, ove è possibile, a pratiche di mindfulness e interventi psico-educazionali. Come ogni disturbo il primo passo è ammettere d’avere un problema. Successivamente è necessario imparare a riconoscere certi pensieri o impulsi chiamandoli con il loro nome: ossessioni e compulsioni appunto, senza confonderli con vere intenzioni e doveri. In terapia possiamo poi ricostruire come certi eventi a forte impatto emotivo siano diventati “l’innesco” in un sistema di valutazione personale già rigidamente definito, che mal tollera le invalidazioni. In particolare le persone sono ostilmente impegnate a preservare un ruolo di forte e/o responsabile, tanto che anche il pensiero viene considerato alla stregua di un’azione vera e propria di cui assumersi la responsabilità: “Se penso qualcosa di negativo allora è come se l’avessi fatto”, con la pretesa di poterlo controllare e neutralizzare l’insopportabile ansia che genera.

Faccio bene o male ad assecondare le richieste di rassicurazione? Come mi devo comportare?
E’ utile che i conviventi evitino di dare troppe rassicurazioni in quanto non basterebbero mai e c’è il rischio che diventino a loro volta delle compulsioni per alleviare l’ansia. Per contro, un atteggiamento critico rischierebbe di far peggiorare i sintomi. Serve invece mostrare comprensione e incoraggiare ogni più piccolo tentativo di resistere al disturbo o d’esporsi gradualmente alla situazione temuta fino ad accettare le ossessioni al pari di qualunque altro pensiero spiacevole, senza tentare in ogni modo di controllarlo.

Si può uscire da questa realtà parallela?
Riporto le parole di Filippo che pochi mesi prima che fosse diagnosticata la malattia alla madre aveva intercettato cattive sensazioni sul fatto che potesse succedere qualcosa di grave seppur non vi fossero state delle avvisaglie concrete e godesse di ottima salute:
“(…) Questa situazione contribuì a farmi credere di essere dotato di poteri soprannaturali e che avrei potuto bloccare la naturale evoluzione delle cose attraverso l’utilizzo di appositi rituali. Il problema divenne sempre più evidente quando, in qualsiasi momento della giornata, iniziai a fantasticare eventi tragici e qualsiasi cosa facessi potesse trasformarsi in rituali atti a scongiurare il futuro ipotetico evento nefasto (…) Con la malattia degenerativa del mio secondo genitore e svariati altri problemi di natura economica, fisica, lavorativa ed organizzativa mi son ritrovato in un turbinio di situazioni da gestire da solo nel mezzo dell’età del consolidamento del mio sviluppo per un periodo prolungato.
In linea con le rigide direttive della mia educazione mi sono assunto pienamente tutte le responsabilità del caso gestendo le continue ed implacabili problematiche che quotidianamente emergevano, sviluppando capacità multitasking e di problem solving che mai avrei pensato di avere. Tutto ciò, tuttavia, aveva acuito notevolmente il mio problema fino a renderlo insopportabile a seguito della dipartita del secondo genitore, anch’esso dopo il lungo decorso di una altrettanto grave malattia degenerativa, e ad altri fatti gravi accaduti contestualmente. Il senso di responsabilità ed il modello di salvaguardia che mi ero costruito nel tempo nel mio schema mentale e che in quegli anni mi aveva permesso di sopravvivere alla valanga, divenne obsoleto e si rivoltò contro di me causandomi una forte crisi d’identità acuendo aspettative irrealizzabili su di me e sulle altre persone; mi aveva convinto di essere in possesso di super poteri che potessero influire sulla vita delle persone contro la sfortuna. In qualità di super eroe, per poter salvare tutti, iniziai a mettere in atto ancor più frequenti rituali fino a che, tale situazione, divenne invalidante precludendo il raggiungimento dei miei obiettivi personali a causa di una forte dispersione di tempo e di energie. E’ stato in quel frangente di forte pressione che mi sono guardato allo specchio e ho capito di aver toccato il fondo convincendomi che fosse necessario un intervento deciso e risolutivo. Oggi, grazie alla terapia, ho fatto pace con i miei genitori, ho ridimensionato i miei super poteri prendendo maggior coscienza di quanto siano frutto di schemi passati ormai obsoleti e dannosi per la mia quotidianità e sto imparando a considerarmi un “essere umano”, capace di chiedere aiuto e accettare le incoerenze ed i difetti dell’umanità. E’ un percorso impegnativo che deve esser intrapreso in modo pro-attivo, voluto, cercato e praticato con tanto impegno quotidianamente; per poter raggiungere obiettivi solidi è necessario mettere in discussione i propri schemi e le proprie convinzioni anche attraversando nuove crisi, utili al cambiamento.”

Purtroppo il DOC è un vero e proprio “cortocircuito” nell’elaborazione delle preoccupazioni che molto difficilmente può essere interrotto da chi lo subisce.[2] E’ molto importante che i familiari prendano in mano la situazione rifiutandosi di colludere con il segreto, la vergogna o il diniego e accompagnando dal medico la persona imprigionata nelle ossessioni.
Se leggendo queste storie Vi riconoscete scriveteci per condividere l’esperienza, il dolore ma soprattutto la speranza di una via d’uscita!

 

*nome fittizio per tutelare la privacy
[1] Summit Internazionale 2022 Il Disturbo Ossessivo CompulsivoFormazione Continua in Psicologia (FCP) Provider ECM n° 6888
[2] Gabriele Melli, Vincere le ossessioni. Capire e affrontare il disturbo ossessivo-compulsivo. Ed. Erikson, 2018

 

 

 

A cura di:

Alessandra Favaro 

Psicologa – Psicoterapeuta costruttivista
Membro Associazione Italiana Formatori (AIF)

Psicologia e psicoterapia clinica individuale e di coppia
Supervisone casi clinici individuale e di gruppo
Formazione Medici, Psicologi, Operatori Sanitari

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