Le emozioni in adolescenza

I giovani da diversi anni non esprimono più il proprio disagio attraverso comportamenti oppositivi e trasgressivi ma tramite sintomi che utilizzano il corpo come megafono del proprio dolore. L’ansia, i gesti autolesivi, il disturbo del comportamento alimentare e il ritiro sociale, ora in aumento, esprimono già da tempo tutte le fatiche legate alla sensazione di non riuscire a realizzare se stessi in un futuro percepito spesso come inospitale o come un fallimento personale e sociale.
Ogni adolescente è unico, ogni figlio è diverso dall’altro, anche se entrambi crescono all’interno della stessa famiglia. Per questo i figli e le figlie non meritano semplificazioni e genitori da “ricetta”, ma mamme e papà in grado di amarli e valorizzarli per quello che sono.  I genitori contemporanei sono molto più attenti che in passato all’educazione e allo sviluppo emotivo dei figli: il ruolo genitoriale è volto a sostenere una crescita il più possibile armonica e felice, ma il rischio riguarda un’eccessiva idealizzazione del sé del figlio, con la conseguenza che, quest’ultimo, per raggiungere quell’ideale si allontani dalle proprie emozioni. Quelle positive sono accolte, favorite, incoraggiate, sono la prova di una crescita lineare. Al contrario, le emozioni spiacevoli rischiano di essere oscurate, messe a tacere, perché eccessivamente disturbanti e controproducenti rispetto all’ideale. La tendenza generale alla negazione di queste emozioni ha come conseguenza, oltre ad un alto livello di fragilità, una scarsa dimestichezza con il dolore. Nelle storie passate delle madri e dei padri dei ragazzi che sviluppano un forte disagio, non è raro incontrare infanzie ferite, relazioni difficili, mancanza di affetto, che hanno fatto molto soffrire e che ora si tenta di riparare attraverso la crescita dei figli, vissuta come una sorte di nuova chance di riscatto e risarcimento affettivo. La fatica dei genitori sta nel trovare risposte affettive bilanciate e ad intercettare e trovare una sintonizzazione con le emozioni più difficili del figlio. L’adolescente vorrebbe, da un lato, essere accolto, tenuto vicino, capito e rispecchiato nel suo dolore, ma dall’altro necessita di essere riconosciuto come persona autonoma, capace di trovare dentro di se le risorse utili per uscire dalla crisi.
Nel mio studio arrivano adolescenti in grande difficoltà nell’elaborazione di stati d’animo dolorosi e che sperimentano un profondo dolore legato al fallimento dei progetti che i genitori hanno in mente per loro. Quando si chiede ad un adolescente se abbia mai pensato di voler morire e se gli capiti di piangere da solo, nascosto nella propria stanza, senza che apparentemente nessuno se ne accorga, è probabile che darà una risposta affermativa. I genitori raccontano che, in realtà, intuiscono quei pianti nascosti, ma sono troppo angosciati per tentare di ascoltare e, per questo motivo, aspettano che passino senza parlare. Sia gli adolescenti che i genitori sembrano in difficoltà nel tollerare l’emozione relativa alla tristezza. Proprio per questo sono utili i percorsi di psicoterapia, ci si concentra anche sul tentativo di entrare in contatto con le proprie emozioni, differenziarle, dare ad esse un nome e provare a riconoscerle, per poi dare loro un senso e considerarle come parte di sé.
Nell’ambiente famigliare sembra che la tristezza debba essere confinata in qualche luogo nascosto. Le frasi che spesso gli adolescenti si sentono dire sono “Devi essere forte! Non piangere!”. Per i ragazzi il sentirsi tristi è vissuto come la prova della propria inadeguatezza. La richiesta dei genitori di essere felice, sembra essere delusa, la prospettiva ideale di riuscire a godere appieno dei propri successi sociali e relazionali sembra frantumarsi nell’incontro con la complessità della realtà. Per questo le lacrime scorrono di nascosto, e può diventare preferibile fermare il dolore mentale attraverso il più tollerabile dolore fisico, ricercato attraverso le svariate forme di attacco al sé corporeo che l’adolescente mette in atto. Nella prospettiva genitoriale, intercettare la tristezza del figlio rimanda alla sensazione di “non aver fatto abbastanza”, attivando vissuti di inadeguatezza relativi alla propria capacità di genitore e successivamente chiedendo “Cosa ti manca, cioè in cosa ho mancato io come genitore?” Più che affannarsi nella ricerca del soggetto responsabile di inadeguatezza o concentrarsi nel cercare soluzioni concrete, il genitore dell’adolescente potrebbe provare a tollerare il dolore. Stare sul dolore significa che a volte non si può fare molto altro, se non provare a dargli diritto di esistere, senza banalizzarlo o generalizzarlo. Far sentire un adolescente capito e sostenerlo nelle sue fatiche è il primo passo per l’uscita dalla crisi. Quando la tristezza diventa un’emozione di cui non si può parlare ed è incomprensibile, spesso viene erroneamente definita ansia, oppure si trasforma in rabbia e aggressività.
Anche i comportamenti trasgressivi e antisociali spesso nascondo vissuti depressivi che, attraverso modalità aggressive, abitano la mente di ragazzi che si percepiscono senza un futuro. Rifugiarsi nella rete, infliggersi tagli sulle braccia, consumare sostanze e digiunare sono alcune delle drammatiche modalità con cui l’adolescente cerca di mettere a tacere il frastuono delle sue fatiche emotive, affettive, relazionali ed evolutive. In questo modo il ragazzo tenta delle soluzioni a lungo termine non efficaci ma antidolorifiche e calmanti. Non sempre un figlio che va bene a scuola e legge molti libri, non gioca ai videogiochi e non si interessa ai social, ci indica una condizione di benessere. Intercettare i segnali odierni del disagio adolescenziale non è una vicenda semplice e, soprattutto, richiede una funzione adulta attenta alle esigenze evolutive dell’adolescente, piuttosto che forme stereotipate e ideologiche.
L’ascolto attento e una forma di autorevolezza è quello che potrebbe essere utile ai genitori, così come agli insegnanti e a tutti gli educatori.

A cura di:

Chiara De Battisti
Psicologa
Specializzanda in Psicoterapia Sistemico-relazionale (Centro Padovano di Terapia della Famiglia)

chiara.debattisti@ordinepsicologiveneto.it

 

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