Perdita, dolore e lutto

                                                            A Patrizio, a chi resta

La perdita è qualcosa che ci lega insieme come esseri umani, il dolore contraddistingue quei momenti della vita che tutti siamo chiamati ad affrontare quando subiamo una perdita. Sebbene possiamo soffrire per varie cause, dalla morte di qualcuno alla perdita di un lavoro, di una relazione o di quanto ci sia di importante nella nostra vita, il dolore più intenso è associato spesso alla morte di una persona cara.
E’ importante tener presente che quasi tutto ciò che si prova nelle prime fasi del dolore è normale, inclusa la sensazione di impazzire, la sensazione di essere in un brutto sogno o mettere in discussione le proprie convinzioni religiose o spirituali. Il dolore emotivo per un lutto è caotico anche nel suo silenzio assordante, silenzio sia causato da un prepotente rumore informe.
Il dolore dunque è una risposta naturale alla perdita. È la sofferenza emotiva che si prova quando ci viene portato via qualcosa o qualcuno di importante. Spesso essa può essere così opprimente da far sorgere emozioni e vissuti difficili e inaspettati che possono spaventare ma in realtà sono “normali”, fanno parte di quel ventaglio di “sintomi emotivi” correlati al vissuto di una perdita importante.
Subito dopo una morte, ad esempio, può essere difficile accettare quello che è successo. Ci si può sentire persino insensibili, avere difficoltà a credere che la perdita sia realmente avvenuta o addirittura negare la realtà.  Si può vivere un senso di colpa per cose non dette, non fatte, quando la persona cara era in vita. Ma ci si potrebbe sentire in colpa anche per certi sentimenti apparentemente paradossali che si possono provare, come il sentirsi sollevato quando una persona è morta dopo una malattia lunga e difficile. Irrazionalmente ci si può convincere di non aver fatto di più per prevenire la perdita, anche se la realtà era completamente fuori dal nostro controllo.
Una perdita significativa può innescare inoltre una serie di preoccupazioni e paure: timori per il proprio stato di salute, per la propria vita, per la vita stessa senza quella persona o per le responsabilità che ci si trova ad affrontare da soli. Inoltre, anche se la perdita non è stata colpa di nessuno, possiamo sentirci arrabbiati e risentiti. Ci si può sentire arrabbiati con sé stessi, con Dio, con i dottori o anche con la persona che è morta per averci abbandonato. Si può arrivare a sentire il bisogno di incolpare qualcuno per l’ingiustizia che si sente di aver subito.  Infine, la profonda tristezza è probabilmente il sintomo di dolore più universalmente sperimentato. Questa può portare a sentimenti di vuoto, disperazione, desiderio o profonda solitudine. Ci si può ritrovare emotivamente instabili al punto da non riconoscersi.

Ma cosa turba così tanto il nostro animo da farci provare sentimenti così forti, contrastanti e struggenti?

Potremmo dire che nell’animo di chi resta si crea un deserto dove si è persa la bussola del sentimento della bellezza della vita, la morte di una persona cara provoca la perdita di quella bellezza che proviene dalla capacità umana di creare legami intensi e significativi giorno dopo giorno. Così come l’antropologia definisce la bellezza come il risultato dell’intensità e della coerenza dei legami all’interno di un oggetto, allo stesso modo i legami significativi e importanti che uniscono le persone e creano bellezza sono tali perché si costruiscono nel tempo per sommazione. I legami diventano intensi e coerenti in relazione al grado di condivisione tra le due persone. La morte sembra recidere quei legami unici e specifici che costituivano quel sentimento di bellezza e ne impedisce di nuovi, in modo definitivo e irreversibile.
Quel momento in cui sentiamo che ci sono stati strappati via tutti quei legami che nel tempo erano diventati intensi e coerenti, che nulla potrà essere più come prima, può essere devastante e coinvolgere ogni aspetto della vita: ogni cosa, ogni evento, ogni relazione interpersonale appare priva di fascino e non meritevole di interesse, anzi tutto tende a creare fastidio, repulsione, intolleranza. La perdita della condivisione con la persona defunta di tutti i piccoli e grandi eventi quotidiani e ricorrenti grava sul senso di vivere, della sicurezza e del “vissuto di bellezza”. Tutto appare più brutto e nulla più riesce a mostrarsi “a colori”, “pieno” di qualcosa di gradevole, positivo o addirittura desiderabile, proprio perché nulla possiede quell’ intimità e quella pervasività di cui prima.
Alcuni approcci teorici descrivono le “fasi” che attraversano le persone in lutto, che spesso terminano con “l’accettazione” o “l’investimento in una nuova vita”. Ricercatori sul dolore quali D. Klass e Ph. Silverman, hanno messo in discussione questi modelli proponendo un modo diverso di pensare al dolore sostenendo che quando muore una persona cara si passa attraverso un processo di adattamento e si ridefinisce la relazione con quella persona: il legame con lei continua e dura. Il dolore non sarebbe qualcosa da “attraversare” per “lasciar andare” o “andare avanti”, piuttosto il lutto sarebbe quel processo che ci aiuta anche a formare una relazione diversa con chi non c’è più, paradossalmente con la loro assenza.
Questo processo di elaborazione del lutto passa anche attraverso le relazioni con le persone che restano. Il dolore del lutto può spesso portare a far desiderare un ritiro nel proprio guscio. Ma avere il supporto di altre persone è vitale per guarire dalla perdita. La relazione con gli altri, soprattutto se persone nuove, è importante perché inizia a tessere nuovi legami che possono divenire alternativi e bilanciare il vissuto di vuoto che la morte della persona cara provoca. Questo vissuto di vuoto alimenta il sentimento di assenza e solitudine e rischia di favorire la distanza affettiva anche nei confronti di chi è rimasto aumentando così l’esperienza della solitudine.  La funzione dei legami intra familiari e comunitari servono proprio perché acquisendo consistenza alleggeriscono il peso della perdita della vicinanza e della bellezza.
Mentre questo caleidoscopio di vissuti nuovi e sentimenti contrastanti si avvicendano, il dolore sembra avere un moto ondulatorio che inizialmente può essere intenso e travolgente. Queste ondate di dolore possono sembrare uscite dal nulla o possono essere innescate da ricordi specifici e consapevoli. All’inizio può sembrare di essere costantemente colpiti da enormi ondate di dolore, a volte così ravvicinate che sembrano lasciare senza fiato. Con il tempo, la dimensione delle onde tende a diminuire, con spazi più ampi tra loro. Soprattutto: non ci sono fasi prestabilite per il dolore e non esiste una scala temporale o un ordine prestabilito per come ci si “deve” sentire. 
Cerchiamo di capire perché bisogna elaborare il lutto.  Potremmo dire che abbiamo bisogno di un processo per ridefinire l’identità e il ruolo che abbiamo perso a causa di una determinata perdita, questo avviene attraverso un percorso nominato proprio lavoro del lutto. Un lutto che non si elabora provoca una sospensione della quotidianità e dello svolgimento di tutta una serie di funzioni fondamentali per il soggetto quali quelle relazionali, cognitive e affettive. Tali blocchi sono all’origine dello sradicamento e della perdita di punti di riferimento della propria psiche.
Attraverso questo processo chi resta riacquisterà una sua identità e un suo ruolo, si ridefinirà la realtà intrapsichica della persona oltre che quella esterna. Questo lavoro avverrà anche attraverso una costruzione nel tempo di nuovi eventi-legame che non sostituiranno i vecchi in quanto saranno inevitabilmente diversi.
Una funzione fondamentale nel lavoro del lutto è quella della narrazione, di ripensamento/riformulazione di tutto il sistema identitario, di tutte quelle identità personali, famigliari e sociali che non possono mantenersi invariate dopo la morte di una persona cara e anche questo spiega l’importanza di non isolarsi e se occorre chiedere aiuto ad un professionista capace di ascoltare accogliendo il dolore e la disperazione.
Quando l’elaborazione del lutto non si compie si può arrivare al cosiddetto lutto complicato, che si definisce come una forma persistente di intenso dolore in cui persistono pensieri disadattivi e comportamenti disfunzionali insieme a tristezza continua, pensieri, preoccupazioni e ricordi della persona che è morta. Il dolore cioè, continua a dominare la vita e il futuro sembra cupo e vuoto.  Potremmo dire che il lutto rischia di inscriversi a tutti gli effetti come un trauma non elaborato, che in quanto tale crea un’intricata rete di significati che complica il processo del lutto. Se non affrontato, questo modo di trattenere il nostro trauma e il nostro dolore si indurisce in un sistema di convinzioni che modellano la nostra identità, rendendo comodo vedere il dolore e la perdita come qualcosa da evitare che rischia in questo modo di venire immagazzinato nei nostri corpi e limitare la nostra capacità di vivere pienamente la vita. 

In conclusione, non possiamo cambiare il fatto che i nostri cari muoiano, ma possiamo scegliere come rispondere alla loro morte. Inizialmente ci potrà sembrare che la morsa del dolore ci tenga connessi in modo tangibile alla persona amata persa ma seguendo le nostre dinamiche intrinseche, senza forzare i tempi, possiamo scegliere di trovare una nuova strada nella vita integrando il profondo amore che proviamo per chi non c’è più. Mantenendo una connessione emotiva con il passato, radicandoci nel presente, ma tenendo anche d’occhio il futuro, possiamo iniziare a scoprire cosa conta ancora per noi e cosa c’è di nuovo in noi.

 

 

 

 

A cura di:

 

Roberta Cicchelli

Psicologa – Psicoterapeuta – Psicosomatista
Specializzazione in psicoterapia e psicosomatica ad orientamento psicodinamico e psicoanalitico

Email: robertacicchelli@yahoo.it

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