Le difficoltà e disagi del figlio, un’opportunità per il genitore. Un’opportunità da non perdere (quarta parte).

L’iperprotezionismo

Come già espresso nelle precedenti esposizioni, anche in questo nuovo intervento non mi soffermerò su di un qualche difetto morale, da cui i genitori sono afflitti come tutti gli esseri umani, mi rivolgerò piuttosto verso un altro degli errori intrinseci al loro compito e che si manifesta nell’esercizio stesso del loro mestiere di genitori. Mi focalizzerò nel modo più semplice ed obiettivo possibile, su una propensione da cui è bene difendersi e di conseguenza da comportamenti possibilmente da evitare nei riguardi dei propri figli. Dopo la volta scorsa, dove abbiamo parlato dell’ANGOSCIA, un’altra tendenza che si manifesta nell’esercizio stesso del mestiere di genitore e da cui sarebbe molto opportuno difendersi è L’IPERPROTEZIONISMO.

L’iperprotezionismo è un difetto che nei genitori nasce contemporaneamente dall’angoscia e da un eccessivo senso di possesso. Spesso ci si ritrova di fronte a genitori che si rimbalzano l’accusa di non fare abbastanza attenzione al muoversi e comportarsi dei propri figli. Accuse anche tra loro che soprattutto nei bambini piccoli, possiamo riassumere nel: “Attenzione, si farà male!”, “Non ha studiato abbastanza, domani prenderà di sicuro un brutto voto!”, o nei più grandi: “Dobbiamo togliergli la bici, ho visto potrà cadere!” ecc. Il bambino iperprotetto è così circondato da cupi pronostici. Nessuna delle sue iniziative è mai buona e ancor meno inoffensiva. Per i suoi genitori il mondo è pieno di persone e di cose, che rappresentano altrettante minacce per lui. Se prende in mano un oggetto fragile, tutti pensano lo romperà, se prende uno stecco, magari soltanto una matita, nessuno dubita che se la infilerà in un occhio. Sarà così osservato, sorvegliato continuamente e di conseguenza la maggior parte dei suoi gesti sarà quindi regolata ed impedita. L’ideale sarebbe di poterlo mettere in vetrina e tirarlo fuori soltanto per mostrarlo alle visite che tra l’altro, magari devono anche essere ritenute di qualità.

Il genitore “iperprotezionista”, vuole tenere sempre i suoi figli sotto gli occhi, tra le mani, anche se indubbiamente col tempo l’iperprotezionismo cambia aspetto e questo consiste generalmente nel considerare il bambino come un essere del tutto impotente ed irragionevole. In loro nasce così la convinzione che senza mamma o papà non sanno niente, non possono fare niente. L’esistenza individuale non è possibile, né è permessa. Il bambino così educato non può acquistare molta sicurezza nella vita, sembra destinato ad essere sempre timido, pauroso, pronto a sentirsi colpevole, e così anche da adulto quando ogni volta manifesterà qualche velleità d’indipendenza. Quel figlio non ha il diritto di avere una personalità, sarà votato molto probabilmente, ad avere un’esistenza scialba, ad avere un senso di inferiorità invincibile, se un impulso di rivolta non verrà a salvarlo, oppure a scaraventarlo nell’estremo opposto! Per esperienza personale, la madre iperprotezionista che porta suo figlio dallo psicologo, ha un modo tutto particolare di accompagnarlo verso il “dottore”, perché contemporaneamente lo trattiene un poco per sé. Quel figlio, infelice, sembra sia tenuto da un elastico invisibile, è come la mamma volesse sostituirsi al figlio per il colloquio con lo psicologo, come a far da cuscinetto tra lui e le asperità del mondo esterno. Il pericolo che essa vede aumenta in proporzione alla distanza che in quel momento la separa dal figlio e se per caso lo psicologo manifesta il desiderio di parlare da solo con il bambino o con il ragazzo senza la sua presenza, eccola spesso, ansiosa o corrucciata. Non molto tempo fa, ad una mia richiesta di questo tipo, mi sono sentito rispondere: “Cosa può aspettarsi dalle parole di un bambino? Soltanto io posso sapere tutto quello che lo riguarda, solo io sono in grado di darle tutte le informazioni che le servono”. Viene quindi facile pensare che se ci rifiutassimo di tagliare il cordone ombelicale al neonato, dopo la sua venuta al mondo, non potrebbe vivere. Una madre non può quindi ragionevolmente pretendere di respirare e mangiare in luogo del suo bambino, quando questi sia diventato capace di mangiare e respirare con i propri mezzi. Allo stesso modo l’iperprotezionismo condanna al soffocamento colui che ne è oggetto.

Indubbiamente con il tempo l’iperprotezionismo cambia aspetto, trasformandosi generalmente nel considerare il bambino come un essere del tutto impotente ed irragionevole. La protezione imposta ha sia un carattere fisico, sia morale, dove sarà temuto in ugual misura il veder maneggiare un temperino, con cui si corre il rischio di ferirsi, o l’esercizio fisico o lo sport, che facendo scalmanare e sudare, possono esser fonte di malanni, o l’attraversare le strade dove si può essere investiti, o ancora il contatto dei compagni di ceto sociale e culturale inferiore e dal linguaggio magari volgare, oppure la lettura di libri non abbastanza “purgati”, ecc. Una variante dell’iperprotezionismo consiste nel volere preservare il figlio da ogni più piccolo fastidio o problema che gli altri potrebbero procurargli. Questo succede ad esempio quando un genitore reagisce ad un’ingiustizia, che ritiene sia stata subita in qualche modo dal figlio da parte o dei professori o dei compagni, condividendo ugualmente la propria indignazione con il figlio, presunta “vittima”, contro professori o compagni, suoi “carnefici”. La verità molto probabilmente sta nel fatto che bisognerebbe avere la coraggiosa sincerità di chiedersi chi noi cerchiamo di preservare maggiormente dai pericoli esterni: noi stessi o nostro figlio? Si tratta veramente di aiutare un essere debole in quanto giovane o di dimostrargli che è debole e che non può fare a meno del nostro appoggio? Non può essere certamente spiacevole per uno studente vedere padre e madre prendere le sue parti, indignarsi con i cattivi e considerare lui un povero martire innocente. Per godere di soddisfazioni così delicate, come non essere tentati ad esporsi il più possibile ad errori di giudizio, che offrono poi tanti compensi? Possiamo quindi convenire che è legittimo cercare di risparmiare a soggetti troppo giovani o troppo deboli, sofferenze inutili e prove troppo pesanti per le loro spalle e che è legittimo anche frapporsi tra loro e il mondo esterno, quando siamo minacciati da ingiustizie evidenti. Ma ci sono piccole sofferenze, piccole prove ed anche piccole ingiustizie che interessano il corso della vita e che i genitori, intervenendo, non fanno che ingigantire.

 

A cura di:

Natalino Trentin

Psicologo – Esperto in orientamento scolastico e professionale
  • Lavora in particolare con bambini, adolescenti, giovani adulti e, ove necessario, le loro famiglie come esperto di orientamento scolastico e professionale.
  • Si occupa anche di potenziamento cognitivo (metodo Feuerstein) e sta conseguendo un master per i DSA (disturbi specifici dell’apprendimento).

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